Arrigo Sacchi: per difendere la salute bisogna attaccare
“Sto bene al mondo e cerco di starci il più possibile. Per questo credo nella prevenzione, per difendere la salute. E per difendersi bene bisogna attaccare”. Si riconosce subito da queste parole lo stile di Arrigo Sacchi, 74 anni, allenatore della squadra di calcio (il Milan tra il 1987 e il 1991) considerata tra le migliori di tutti i tempi, poi allenatore della nazionale vice-campione del mondo.
La sua fiducia nella prevenzione è testimoniata dal luogo nel quale lo incontriamo, al centro ASC di Castelli Calepio, vicino a Bergamo, dove si è appena sottoposto a una DWB (Diffusion Whole Body), un innovativo esame diagnostico di diagnosi precoce oncologica, destinato alle persone sane come lui. Si tratta di una particolare Risonanza magnetica, che permette di identificare in tutto il corpo tumori anche di piccolissime dimensioni per poterli affrontare prima che diventino pericolosi.
Ha sempre creduto nella prevenzione o questa fiducia è cresciuta con l’età?
“In realtà ho sempre fatto molto sport, sono stato educato da mio padre che era un calciatore. L’allenamento mantiene i muscoli in funzione, per evitare le lesioni, e fornisce una carica naturale di endorfine, per prevenire la depressione. Cerco anche di stare attento all’alimentazione, bevo due bicchieri d’acqua tutte le mattine, ma lì sono meno bravo, perché sono goloso. Allora compenso camminando molto a passo veloce e con la mountain bike. Poi faccio regolarmente gli esami del sangue, ogni anno un elettrocardiogramma sotto sforzo ed ora anche questo esame qui, la Dwb, che è davvero speciale.”
“Quindi la sua ricetta di salute è sport e controlli regolari…”
“Sì, ma attenzione non troppo sport. Troppo può essere dannoso. Camminare, non correre, che può far male…”. Tutto ci saremmo aspettati tranne sentire Arrigo Sacchi, fautore del “calcio totale” di grande movimento, affermare che correre fa male. E non è l’unica sorpresa:
“Un grosso pericolo è lo stress. Io ho smesso di fare l’allenatore perché era troppo stressante. Quando Berlusconi mi ha chiamato al Milan ho firmato un contratto per un solo anno, perché temevo di non farcela. Poi le cose sono andate bene e sono andato avanti. Poi c’è stata la nazionale e non potevo dire di no, ma quando ho smesso nel ’96, voleva finirla con quel mestiere. Poi ancora il proprietario del Parma mi ha convinto a tornare a giocare, ma dopo pochi mesi ho smesso per la troppa tensione. Ho rinunciato a tanto soldi, ho detto al presidente: non mi servono i soldi al cimitero”.
Il che dimostra che per Arrigo Sacchi, nominato nel 2007 dal Times miglior allenatore italiano di tutti i tempi, credere nella prevenzione non è una frase fatta, ma un concetto per il quale vale la pena fare sacrifici.
Non posso non chiedere a lei che uomo di calcio un parere sulla situazione attuale, su come il campionato stia gestendo la pandemia
“Viene gestito come la politica gestisce le altre cose: si cerca di non fare troppi sacrifici, di andare avanti, di conservare un certo benessere e in questo caso il piacere di vedere uno spettacolo. Certo non mi piacciono tanto le partite senza pubblico, ma è giusto andare avanti, salterebbero tante società ed è bene che la gente possa distrarsi un po’. Il problema verrà dopo: io penso che il mondo non sarà più lo stesso dopo la pandemia, anche nel calcio. Ma sarà molto difficile perché il nostro è un Paese che ha un rifiuto culturale al cambiamento, fa del tatticismo la sua ragion di vita. E questo è pericoloso perché quel che conta è la strategia. Come diceva il generale Sun Tzu in L’arte della guerra: “La strategia senza tattica è la strada più lenta per la vittoria, ma la tattica senza strategia è la confusione prima della sconfitta”.
Ecco che ritorna il Sacchi che veniva definito il “profeta di Fusignano”, il suo paese natale, che spazia con disinvoltura tra calcio, politica e filosofia. E come pensa che cambierà il calcio?
“Ho una nipotina di cinque anni. Abbiamo visto alla tv una partita insieme e lei mi ha detto: hai visto nonno, hanno vinto, sono bravi. Io le ho detto che avevano sì vinto, ma che per me non erano bravi. E le ho spiegato che una vittoria senza merito non è una vittoria. Ho sempre interpretato il calcio come una filosofia. È nato come sport collettivo e offensivo, l’hanno trasformato in uno sport individuale e difensivo. Soltanto gli inglesi hanno conservato davvero lo spirito originale, loro hanno capito tutto. Ora forse tra i grandi cambiamenti che sta provocando la pandemia c’è forse anche questo, un’evoluzione che era già cominciato in squadre come l’Atalanta e il Sassuolo e che ora sembra imporsi: è tornato il coraggio di attaccare. Speriamo che non venga fermato ancora dal tatticismo”.
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