La Stampa: La Scatola Magica
“Caro prof, la nostra scatola magica sta diventando come l’abbiamo sempre immaginata”. È così che Giuseppe Petralia, radiologo dell’Ieo, l’Istituto europeo di oncologia di Milano, racconterebbe al suo mentore Umberto Veronesi, scomparso due anni fa, i progressi della «Diffusion Whole Body». Tra i due scienziati c’era un tacito accordo: lavorare per rendere la «scatola magica» – come l’aveva soprannominata Veronesi – più efficace ed efficiente nello scovare tumori, anche quelli minuscoli, in tutto il corpo. In tempi sempre più brevi e a costi sempre più bassi. «Non posso dire missione compiuta, ma siamo vicini a quello che tanto sognava il prof», dice ora Petralia. Nel libro «La scatola magica contro il cancro» (Mind Edizioni), a cura di Riccardo Renzi ed Edoardo Rosati, ripercorre la storia di questa macchina d’avanguardia e di come è diventata sempre più performante.
Dottore, che cos’è questa scatola magica?
«È la “Diffusion whole body”, una tecnica innovativa di risonanza magnetica che consente di studiare l’intero corpo senza radiazioni ionizzanti e senza mezzi di contrasto. Così si ottengono immagini sensibili alla diffusione microscopica delle molecole d’acqua e si distinguono tutti i tumori, anche quelli piccoli tre-quattro millimetri, dai tessuti sani circostanti».
Chi può sottoporsi all’esame?
«Chi è malato e le persone sane. All’Ieo, dove abbiamo iniziato a usarla dal 2009, viene eseguito sui pazienti metastatici o con tumori ad alto rischio di sviluppare metastasi nascoste e asintomatiche. E poi sulle donne incinte con tumore, le quali non possono essere sottoposte ad esami che prevedono l’uso di radiazioni. Ma il test si esegue anche sulle persone sane per la diagnosi precoce dei tumori. Dal 2009 a oggi ne abbiamo eseguiti più di 3 mila. E solo nel 2017 siamo arrivati a quota 850».
Che differenza c’è con la «Pet» e la «Tac»?
«È più sicura, perché è un esame senza radiazioni e non richiede il mezzo di contrasto. Il tutto con performance diagnostiche paragonabili, se non superiori in alcuni casi. Rispetto alla “Tac” la “Dwb” è in grado di rivelare in anticipo se le terapie funzionano o no».
Qual è invece il vantaggio per le persone sane?
«Vediamo se ci sono lesioni tumorali in organi per i quali non esistono screening: per esem- pio il fegato, il pancreas, i reni, le ossa e così via».
I tradizionali esami, come la mammografia o la coloscopia, scompariranno?
«L’idea non è mandare in pensione gli screening oncologici offerti dalla Sanità, dato che sono validissimi, ma di eseguire la “Dwb” in aggiunta. Perché offriamo l’opportunità di sondare parti del corpo altrimenti scoperte».
Quanto dura l’esame?
«Quando abbiamo iniziato, il paziente rimaneva sul lettino un’ora e mezza. Ma oggi – come mi incitava a fare Veronesi – siamo riusciti a ridurre i tempi, scendendo sulla mezz’ora. Non solo. Abbiamo lavorato per migliorare la qualità delle immagini».
Che cosa deve fare una persona sana per sottoporsi all’esame?
«All’Ieo facciamo la “Dwb” anche a chi è sano, ma ovviamente diamo precedenza ai pazienti. Per i primi c’è una lista di attesa. I tempi variano da uno a due mesi ed è a pagamento. Oppure si può accedere tramite l’“Advanced Screening Centers”, centro diagnostico privato a Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, dove l’esame è eseguito per la diagnosi precoce dei tumori».
E i falsi positivi, vale a dire l’identificazione di tumori inesistenti?
«La percentuale è molto bassa, simile a quella dei falsi positivi con la “Pet” e intorno al 5%. Le prestazioni così affidabili della “Dwb” si ottengono tuttavia solo dopo un’esperienza di migliaia di casi: è il motivo per cui molti dei miei sforzi sono rivolti alla formazione di giovani medici, così da diffondere l’esame».
Che cosa manca per rendere la «scatola magica» la macchina risolutiva che immaginavate con Veronesi?
«C’è tanto da fare. Veronesi diceva: “Un giorno tutti gli ospedali saranno costretti ad avere una macchina come questa e tutti i pazienti dovranno passarci per una diagnosi precoce”. Sapeva che individuare un tumore precocemente significa avere più chance di guarigione: “A ogni millimetro di diametro in meno del tumore aumenta la percentuale di guarigione dell’1%”. Lavoreremo su questo. Perché il sogno di Veronesi è anche il mio».
Dal sogno alla realtà «Quell’intuizione di Veronesi»
È dal giorno in cui giurò battaglia al cancro che Umberto Veronesi elaborò il sogno di una «scatola magica» in grado di scovare i tu- mori in tutto il corpo. Ma fu nel maggio 2010, quando organizzò una riunione dei di- rettori dell’Ieo per parlare di diagnosi precoce, che capì che la sua scatola magica sarebbe stata la «Diffusion Whole Body» a cui lavorava un giovane radiologo, Giuseppe Petralia. Da allora Veronesi seguì lo sviluppo di questa innovativa tecnica da vicino, convocando Petralia ogni tre-quattro mesi per essere aggiornato.
«Siamo a una svolta – diceva. – Lo screening globale cambierà il nostro modo di curare». Nel 2016, pochi mesi prima di morire, incontrò per l’ultima volta Petralia. Era soddisfatto, ma non completa- mente. «Devi migliorare. I tempi – diceva – sono ancora troppo lunghi». Veronesi aveva fissato la meta: ora i suoi scienziati stanno lavorando per raggiungerla
Osservare ogni organo
La tecnologia «Diffusion whole body» consente di visualizzare e studiare l’intero corpo senza radiazioni ionizzanti e senza mezzi di contrasto per via endovenosa.
Diagnosi più precise
La macchina realizza immagini in grado di evidenziare tutti i tumori, anche quelli piccoli tre-quattro millimetri, rispetto ai tessuti sani circostanti.
Autore: Valentina Arcovio
Testata: La Stampa | Tutto Scienze e Salute